Quando ci guardiamo intorno, in una bella giornata di sole, diciamo in primavera inoltrata, la nostra gioia è vedere il mondo naturale in una luce bella e positiva. Oggi, alle soglie dell’inverno, sotto una pioggia sferzante e un vento impetuoso, ci domandiamo come facciano a resistere piante e animali a giornate così difficili. E se abbiamo le api, pensiamo a come esse vivano i malesseri “di stagione”. Ci avevano pensato anche gli scienziati da anni, studiando le capacità adattative di questi piccoli insetti: noi li vediamo singolarmente, con il loro piccolo corpicino e le ali, ma gli etologi ci insegnano che dobbiamo considerarle come le cellule del nostro corpo: un SUPERORGANISMO (1), da poco nominato OLOBIONTE.
Vero, qualcuno ci aveva pensato da molto tempo fa: Termiti, formiche e altri piccoli animali sociali si comportano quasi perdendo la propria identità per diluirla in una più grande e complessa, con vantaggi (difesa da nemici e sostegno vitale reciproco) e svantaggi, inclusi tra questi le epidemie. Un microcosmo che replica ciò che avviene nel macrocosmo umano.
Qualche anno fa, dei Ricercatori statunitensi (2), sollevavano una domanda dopo aver esaminato un fenomeno: “Un aumento della raccolta di resina dopo la sfida di un patogeno: Un caso di automedicazione nelle api?”. Dai loro studi con le api e un loro nemico l’Ascophera apis,(§ tratto da https://www.hgsc.bcm.edu/microbiome/ascosphaera-apis) causa della covata calcificata, sembra che le api, dopo una prima fase di impatto sulla famiglia, incrementino la raccolta delle resine dalle piante che le producono per passarle nella produzione delle cellette, migliorando la resistenza comune, e di riflesso di ciascun individuo, al fungo patogeno. Da questa osservazione, cioè che la costruzione di cellette potesse permettere la resistenza alla progressione della infezione micotica, i Ricercatori suggerivano di rivedere in chiave auto-medicazione questo comportamento. Questo comportamento è stato osservato da Ricercatori italiani e tedeschi anche a seguito della presenza di Varroa destructor: le api bottinatrici di resine aumentano (3). Chissà quante altre forme di “solidarietà sociale” saranno ulteriormente scoperte.
Anche la raccolta del nettare e polline, oltre che le resine, può ingenerare una migliore resistenza ai patogeni: questa osservazione (4) colta durante il bottinamento dei fiori di mandorlo, sembra evidenziare come una sostanza ritenuta tossica contenuta in quei fiori (l’amigdalina, da alcuni Autori una vera vitamina), raccolta dalle api durante i duri periodi invernali, riesca a contrastare alcuni patogeni (virus inclusi). Il bello è che le api, anche quando la coltivazione è intensiva come nelle sconfinate distese dei mandorleti statunitensi, beccano sempre altri pollini e nettari, come se cercassero fonti nutritive differenti (equilibranti?). Questa strana attività suggerisce ulteriori indagini per chiarire se le api siano motivate a riequilibrare il loro Superorganismo in maniera casuale o attiva. In quest’ultimo caso si potrebbe pensare ad una forma vera e propria di automedicazione.
FONTI:
- Bert Hölldobler Edward O. Wilson “Il Superorganismo” Ed. ADELPHI
- M.D. Simone-Finstrom, M, Spivak “Increased Resin Collection after Parasite Challenge: A Case of Self-Medication In Honey Bees?” Plos One 2012
- M. Pusceddu, G. Piluzza, P.Theodorou, F. Buffa, L. Ruju, S. Bullitta, I. Floris, A. Satta ”Resin foraging dynamic in Varroa destructor-infested hives: a case of medication of kin?” Insect. Sci.2019
- J.P. Tauber, et Al “Colony-Level Effects of Amygdalin on Honeybees and Their Microbes” Insect 2020
a cura del dr. Piero Milella